Il Principe Alchimista e la Cappella Sansevero a Napoli
La Cappella di Sansevero, conosciuta anche come chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella, da ben tre secoli meta imprescindibile prima dei raffinati viaggiatori del Grand Tour come il Marchese de Sade, ora dei numerosissimi turisti che vengono catturati dal suo fascino misterioso, è attualmente uno dei musei più visitati di Napoli.
La Cappella nasce come mausoleo della famiglia dei Principi di Sansevero ed era originariamente collegata al Palazzo avito da un ponte crollato alla fine del XIX secolo. Sacrario di culto ed insieme tempio dinastico, si presenta allo sguardo rapito del visitatore contemporaneo come un luogo carico di misteri, un tempio massonico ricco di simboli, riferimenti, immagini legate ad un percorso iniziatico di elevazione e rinascita.
Il sito di costruzione è stato un preesistente Tempio di Iside, poi luogo di un’apparizione mariana, infine esempio di devozione filiale legata ad un atroce fatto di sangue, un duplice omicidio che immolò Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa, nobili e amanti, trucidati dal marito tradito.
Le forme attuali della Cappella, benché in parte alterate dal crollo del ponte sospeso, si devono a Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, nobile, mecenate, amante dell’arte, intellettuale e poliglotta, parlava infatti varie lingue europee e conosceva non solo il latino e il greco antico, ma anche l’arabo e l’ebraico.
Fu studioso di cabala ed occultismo, soldato valente, autore di libri popolarissimi, come un trattato militare adottato dal Regio Esercito, oppure talmente controversi da essere definiti “sentina di tutte le eresie” e “peste infetta” e per questo condannati all’Indice dei Libri Proibiti. Ma il Principe fu anche inventore, scienziato, alchimista e stampatore. Definito “un nuovo Archimede” e “non un accademico, ma un’Accademia intera”, di intelligenza vivissima, già da ragazzo si distinse per irrequietezza e genialità tanto da essere inviato a Roma per studiare nella miglior scuola del tempo, il Collegio dei Gesuiti. Persino i suoi nemici e persecutori gli riconobbero un ingegno singolare, meraviglioso e prodigioso; nel momento di massima gloria fu al fianco di Re Carlo in una posizione di assoluto privilegio ed ebbe eccezionalmente l’autorizzazione di Papa Benedetto XIV a leggere i “libri proibiti” ovvero i testi messi all’indice perché considerati eretici. Tanto crebbe il suo ruolo a corte e nella società napoletana, tanto rovinosa fu poi la sua caduta, attaccato dalla Chiesa e dall’Ordine dei Gesuiti, accusato di aver indagato scientificamente il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro, venne infine travolto dall’attacco concentrico del papato e della monarchia alla Massoneria, scomunicata nel 1751 e bandita dal Regno. Perché il Principe di Sansevero “di corta statura e di bello e gioviale aspetto” era non solo massone, ma Gran Capo di Loggia e per salvarsi fu costretto ad abiurare e soprattutto a divulgare i nomi dei suoi fratelli massoni. La sua seconda vita fu quindi meno improntata alle esibizioni plateali, troppo rischiose dati i nemici potenti e più rivolta alle nuove indagini scientifiche, alchemiche e soprattutto segrete, che si svolgevano nel sottosuolo del suo palazzo, dove fece costruire anche una immensa fornace ed un vero laboratorio. Una leggenda nera avvolse presto questi lavori clandestini, il popolino parlava di “fiamme vaganti e luci infernali di rumori sordi e prolungati”. Le grandi spese necessarie al mantenimento della numerosa famiglia e gli oltre cento servitori e al finanziamento di esperimenti e creazioni, incluso l’arredo e decorazione della Cappella, lo ridussero sul lastrico, perennemente inseguito dai creditori.
La fama del Principe fu ampia già tra i suoi contemporanei, per poi arricchirsi di una luce sinistra, da negromante, dopo la sua morte, che non avrebbe dovuto, secondo la leggenda popolare, essere una dipartita definitiva, ma un preludio ad una rinascita. Tra le sue invenzioni, di cui resta principalmente il racconto di chi le esaminò, ricordiamo l’archibugio di Re Carlo che poteva sparare sia a polvere sia ad aria compressa, la cera prodotta non dalle api ma da erbe e fiori, la seta vegetativa ricavata da una pianta, con cui realizzò stoffe e fogli di carta, le pietre preziose contraffatte tra i quali i falsi lapislazzuli indistinguibili da quelli autentici, la carrozza anfibia che fece sfilare nel mare di Posillipo, i “quadri di lana”, la pittura “oloidrica” usata per colorare i marmi, la stampa simultanea a più colori grazie alla quale produsse libri di qualità eccelsa, il “lume eterno” ricavato da ossa umane ed infine le due “macchine anatomiche”, ovvero i due scheletri attualmente visibili nei sotterranei della Cappella, una raffinata e fedele ricostruzione realizzata in realtà da un medico palermitano, Giuseppe Salerno, anatomista ed esperto imbalsamatore. E tra le invenzioni del Principe ci fu chi volle inserire anche il meraviglioso Cristo Velato, opera dello scultore Giuseppe Sammartino, perché talmente stupefacente e realistico è l’effetto del sudario impalpabile sul corpo martoriato, da aver creato la leggenda di un procedimento alchemico segretissimo e ancora inviolato, capace di “marmorizzare” un vero lenzuolo.