I Montanari Acciugai
In Piemonte non c’è mare, o, perlomeno, non c’è più da 5 milioni di anni, eppure, un pesce marino, l’acciuga, è spesso presente nel ricettario piemontese, anzi è un ingrediente essenziale del piatto iconico, simbolo stesso del Piemonte: la bagna càuda.
I Romani la chiamavano apiuva ed avevano introdotto, durante le guerre puniche, un condimento ottenuto dalla lavorazione di questo pesce che abbonda nel Mediterraneo, chiamato garum che veniva usato per insaporire carni e verdure. E forse il Piemonte, terra di montagne, che la separano dal mare, è debitore alle legioni di Cesare, che intingevano le verdure in questa salsa, delle origini del suo piatto identitario. E proprio per la lontananza dal mare, ed i lunghi tempi necessari al trasporto, che la storia dell’acciuga si intreccia con quella di uno dei pilastri storici e politici: il sale. Una storia fatta di caparbietà e sforzi per l’approvvigionamento di cibo e per la sua conservazione, garantita dal sale, prezioso e necessario, procurato dal duro lavoro di pescatori e salinatori, uomini di acqua e di terra, di braccia e gambe forti, arsi dal sole, sferzati dal vento e consumati dall’acqua. Le acciughe ed il sale viaggiavano su strade costruite appositamente dallo Stato e su altri percorsi proibiti, creati dai contrabbandieri, nascosti, impervi e pericolosi per evitare dazi, gabelle, tasse e monopoli. Esistevano diverse vie del sale tra Liguria e Piemonte ed erano percorse dai caross d’ancioe, i carretti degli acciugai, perché spesso, strati di acciughe, cibo accessibile a tutti, saporito e di lunga conservazione, nascondevano il prezioso carico del sale del potente monopolio genovese, che era destinato ai grandi mercati piemontesi e lombardi, sfuggendo così alla stretta maglia della Finanza Regia. Il mestiere degli acciugai era duro, perché era svolto dai contadini, che terminati i lavori nei campi, durante i rigidi inverni, scendevano in Liguria dove compravano le acciughe sotto sale che poi rivendevano caricandole sui caross di frassino, che pesavano cinquanta chili, ed erano robusti abbastanza per portare carichi di quasi tre quintali su strade dissestate, che attraversavano gole, valli infestate dalle masche, le streghe che spaventavano i contrabbandieri e facevano inacidire il latte o impazzire i muli. Dura vita quella degli anciuè, che su strade che non erano strade, percorrevano anche 40 km al giorno, chiedendo ospitalità per dormire in cambio di qualche acciuga, e stavano fuori casa anche otto mesi. Si portavano addosso l’odore pungente dell’acciuga che richiamava le mosche, e forse per questo fu dato il nome di Moschierès al paese dove vivevano gli acciugai in Val Maira, nel comune di Dronero, in provincia di Cuneo a 150 km kilometri dal mare. La durezza del mestiere, e l’organizzazione moderna, gestita da grossisti, spensero, il grido “Anchoiers, anchoiers”, che echeggiava fino all’Emilia Romagna.
Delle acciughe rimane il profumo nelle tante ricette della tradizione, dal vitello tonnato ai bagnet verdi e rossi, tipici della “merenda sinoira” estiva, consumata nel tardo pomeriggio, prima di riprendere il lavoro nei campi finchè il sole non tramontava, e la fiera degli acciugai, che si tiene ogni anno, a giugno, in Val Maira, perché entro S.Giovanni, dopo il Solstizio d’estate, tradizionalmente si banchetta dando fondo a ciò che resta delle scorte invernali.