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Ostriche o cozze?

Il mondo antico conosceva perfettamente l’allevamento dei mitili e l’ostricultura, ce ne parla persino Aristotele che scrive di banchi di ostriche “artificiali” dei pescatori di Chio. Le popolazioni locali e poi i Greci prediligevano le cozze, quelle “originali” flegree nascono proprio fra il lago di Licola e quello del Fusaro e già intorno al 730 a.C. erano pescate in zona dagli Oschi, una popolazione indigena, mentre la città greca di Cuma le rappresentò addirittura sulle monete. Il mondo antico conosceva perfettamente l’allevamento dei mitili e l’ostricultura, ce ne parla persino Aristotele che scrive di banchi di ostriche “artificiali” dei pescatori di Chio. Le popolazioni locali e poi i Greci prediligevano le cozze, quelle “originali” flegree nascono proprio fra il lago di Licola e quello del Fusaro e già intorno al 730 a.C. erano pescate in zona dagli Oschi, una popolazione indigena, mentre la città greca di Cuma le rappresentò addirittura sulle monete. I Romani invece mostravano una grande predilezione per le ostriche tanto che ne esportarono l’allevamento nel sud della Gallia, modificando così l’alimentazione delle popolazioni locali che ne divennero grandi consumatori. Il vino Falerno, i bagni termali, le ostriche del Lucrino e gli amori, spesso illeciti, ecco dunque i piaceri che i Romani associavano a Baia. E come in tutte le storie, anche le famose ostriche flegree hanno uno scopritore, Sergio Orata, un contemporaneo di Cesare, imprenditore, costruttore, grande affarista ed innovatore anche nelle tecniche edilizie. Individuato il cliente potenziale, ovvero l’aristocrazia danarosa e i buongustai romani della tarda repubblica, Orata creò banchi artificiali nel Lucrino e in seguito nel Fusaro, vendendo le sue ostriche come prodotto di eccellenza. Le ostriche in realtà nascevano nella zona di Brundisium (Brindisi) e venivano poi “ingrassate” alcuni anni nei cosiddetti ostriaria, nelle acque salmastre, termali e ricche di fitoplancton, della laguna. Qui venivano allevate in due modi: con la tecnica a pergolato, ovvero pali di legno, in genere di castagno, infissi in acqua legati da corde da cui si sospendevano le ostriche, formando dei ‘grappoli, oppure con la tecnica che prevedeva la formazione di uno strato di tegole o frammenti di terracotta, su cui si facevano attecchire le ostriche. Era possibile produrre milioni di ostriche impiegando pochissime persone, purché venisse garantito il collegamento alle acque del mare, limitando l’insabbiamento La produzione di ostriche (e l’allevamento estensivo di pesce) nelle varie lagune costiere flegree, continuò senza interruzione fino alla tarda antichità. Lo storico Cassiodoro, vissuto nel VI sec infatti, menziona come attrazioni offerte da Baia le ostriche dell’Averno ed i vivai creati nelle lagune che contenevano grandi quantità di pesce che uno poteva divertirsi a pescare. Dopo secoli di abbandono, nel 1764 re Ferdinando IV di Borbone affidò al celebre architetto Carlo Vanvitelli l’insieme dei lavori di valorizzazione del lago, con la costruzione di fabbricati per la pesca e di una Casina reale e introdusse nuovamente nel Fusaro prima un vivaio di mitili, poi quello delle ostriche. Queste divennero talmente rinomate in tutta Europa che il celebre biologo Victor Coste, considerato il ‘padre’ dell’ostricultura francese, incaricato da Napoleone III di risolvere il problema del calo produttivo nei banchi naturali di ostriche in Francia, visitò proprio le coltivazioni del Fusaro. Ai suoi appunti, tratti osservando le fiorenti coltivazioni di ostriche attuate dai Borbone, si deve l’espansione dell’ostricoltura in Francia. In questa contesa secolare tra Greci e Romani, tra cozze ed ostriche, alla fine vinsero proprio le cozze e un secolo fa l’ostricultura dei Campi Flegrei venne definitivamente abbandonata, soppiantata dalla mitilicultura, tanto che le cozze sono ormai diventate l’oro nero di Bacoli, nel cui centro storico ogni anno a giugno si svolge la popolarissima Sagra della cozza, rigorosamente di Capo Miseno. Ecco infine la ricetta della zuppa di cozze di Apicio, cuoco e gastronomo della prima età imperiale, autore del “De re coquinaria” – 500 gr di cozze -1/3 di porro -Santoreggia fresca o essiccata -Cumino -Un cucchiaio di garum (un condimento a base di pesce fermentato) -Vino bianco secco -passito.

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