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Il Vesuvio, simbolo di Napoli

Napoli e il Vesuvio, un binomio inscindibile perché il Vesuvio è parte integrale della storia di Napoli e del suo territorio, ne ha modificato la morfologia, ha influenzato la demografia, è stato protagonista di avvenimenti distruttivi epocali e rappresenta ad oggi l’unico vulcano attivo dell’Europa Continentale. Il Vesuvio appare in innumerevoli vedute dipinte da artisti italiani e stranieri, pittori conosciuti come Turner o semplici dilettanti del Grand Tour, è stato cantato da scrittori, poeti e musicisti, descritto da naturalisti e viaggiatori. In tempi più recenti il Vesuvio è diventato lo sfondo della tipica immagine di Napoli e del golfo, la cartolina simbolo del pino di Posillipo.

Il vulcano è sempre presente, inconfondibile, un elemento familiare del paesaggio ed allo stesso tempo una minaccia latente per le centinaia di migliaia di persone che abitano le sue pendici. Perché il Vesuvio, la montagna verde e silente, appare addormentato in un lungo sonno ma poi tipicamente si risveglia in modo esplosivo e devastante. L’ultima eruzione, avvenuta il 18 marzo 1944, drammatica e scenografica, avvenne in un momento terribile per Napoli, in uno scenario di guerra e occupazione militare, tanto che il crollo delle pareti superiori del cratere, che cancellò definitivamente il classico cono fumante della tradizione, venne ripreso dai cinegiornali dell’esercito angloamericano. L’eruzione più famosa, impressa nelle menti di tutti gli appassionati di storia, è indubbiamente quella del 79 d.C. che cancellò, seppellendole sotto una coltre di detriti, pomice e ceneri vulcaniche, le cittadine di Pompei, Ercolano ed Oplontis. Descritta da Plinio il Vecchio, comandante della flotta imperiale di Miseno, ma anche storico e naturalista, rivelò agli antichi, in modo spettacolare e distruttivo, che la montagna verde di boschi, vigneti e orti, era in realtà un vulcano.  Per i Romani infatti era Iuppiter Vesuvius associato al divino Giove oppure “Vesuvinum” in riferimento al Dio Bacco, il dio dell’ebbrezza e del vino, in quanto monte rinomato da sempre per la produzione di un vino locale molto apprezzato. Proprio in seguito alla tragica scomparsa delle comunità alle pendici del vulcano, ogni successiva eruzione, storicamente se ne contano una trentina, fu associata in epoca cristiana alla collera divina, una punizione prima contro il paganesimo ancora diffuso poi per i peccati contro la vera fede. Nell’iconografia cristiana il Vesuvio divenne quindi la bocca dell’Inferno, l’abitazione del Diavolo, le fiamme e le lingue di lava, simboli del male assoluto. Dal binomio Vesuvio-Inferno nacquero molte leggende popolari, ad esempio secondo un racconto del ‘700, Pulcinella sarebbe nato dal guscio di un uovo magico, comparso sulla sommità del Vesuvio per volontà di Plutone, il Dio degli Inferi e dell’Oltretomba, a seguito della richiesta di due fattucchiere napoletane che avrebbero preparato l’impasto magico per creare un salvatore, alleato del popolo, che avrebbe cancellato tutte le ingiustizie che affliggevano la città. Ma il vero salvatore di Napoli, colui che protegge la città dalla collera divina e ferma la violenza distruttiva del vulcano, è il Santo protettore patrono di Napoli, il miracoloso San Gennaro, invocato proprio durante la catastrofica eruzione del 16 dicembre 1631, la più forte degli ultimi secoli, che fece migliaia di vittime e distrusse molti paesi vesuviani. Le cronache dell’epoca narrano che San Gennaro comparve tra le nubi nell’atto di arrestare la lava e il busto del Santo fu portato in processione col volto verso il Vesuvio e questo bastò a fermare la sua furia omicida.

Per monitorare l’attività del vulcano, tra i più famosi del mondo, Ferdinando II di Borbone istituì l’Osservatorio Vesuviano. Costruito sul Colle Umberto a 609 metri di quota, oggi la sede ottocentesca ospita un museo dove si possono osservare le “bombe” vulcaniche e una collezione di sismografi del primo novecento. Alla fine dell’ottocento, quando il Vesuvio era visitato esclusivamente a piedi o a dorso di mulo, venne deciso di studiare un sistema che permettesse la salita al cono stando comodamente seduti. L’inaugurazione della funicolare vesuviana avvenne il 6 giugno del 1880, i due vagoncini su cui venivano trasportati otto passeggeri alla volta, si chiamavano Etna e Vesuvio. Il tragitto di 750 metri tra la Stazione Inferiore e quella Superiore veniva percorso in meno di dieci minuti. Inizialmente erano pochi i turisti che si affidarono a questo mezzo rivoluzionario soprattutto per la diffidenza nei confronti della “carrozza ‘e ferramenta”; per questo motivo, con l’obiettivo di incrementarne la popolarità, fu commissionata una canzone al giornalista napoletano Giuseppe Turco e al musicista Luigi Denza. Nacque così nel 1880 Funiculì Funiculà, una delle canzoni napoletane più ascoltate e famose al mondo, capace di coinvolgere tutti al di là delle barriere linguistiche grazie alla sua allegria travolgente. Tra i tanti musicisti e cantanti che hanno voluto omaggiare Funiculì Funiculà, brano fondamentale per la nascita della canzone napoletana, ricordiamo Roberto Murolo, Luciano Pavarotti e Andrea Bocelli.  Oggi il Vesuvio è costantemente monitorato dai vulcanologi che ne studiano i fenomeni cercando di anticipare eventuali eruzioni che hanno sempre un carattere di grande imprevedibilità. Attualmente il vulcano è in una fase di riposo e dal 1995 è inserito in un Parco Naturale attraversato da ben nove sentieri, inoltre è possibile salire al Gran Cono grazie a visite guidate che rendono l’ascensione un’esperienza alla portata di tutti.

 

 

 

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