Circe, la bevanda magica e l’erba miracolosa
A millenni di distanza l’Odissea ci affascina anche per il suo essere sospesa tra leggenda, fantasia e realtà. Prendiamo l’episodio della maga Circe, tra i più famosi del poema omerico (libro X). Durante le lunghe e avventurose peregrinazioni nel Mar Mediterraneo, Ulisse e i suoi compagni, risalendo la costa italiana, giungono all’isola di Eea, che sembra all’apparenza disabitata. Ulisse manda in ricognizione una parte dell’equipaggio che, addentrandosi in un bosco fitto dove vivono bestie selvatiche, ma tranquille, scopre il palazzo dove vive Circe. La leggenda ha sin dall’antichità localizzato nel Circeo, situato nell’odierno Lazio meridionale, il luogo dove abitava la maga Circe, proprio per l’assonanza del nome. Però il Circeo non è un’isola, come racconta Omero, ma un promontorio. Alcuni studiosi pensano che l’equivoco da parte dei marinai greci fu causato dall’effetto ottico dovuto alla lontananza, e che il nome derivi invece dal greco kirkos, in italiano cerchio/circolo, per l’aspetto rotondo del promontorio.
La maga accoglie i compagni di Ulisse ed offre loro un banchetto. Però, appena assaggiano le bevande, si compie un incantesimo e sono trasformati in maiali. Il capo della spedizione, che per prudenza non era entrato nel palazzo, scappa terrorizzato e torna da Ulisse a riferire quanto accaduto. Ulisse si dirige allora verso il palazzo per andare a salvare i compagni; prima di arrivare incontra il dio Ermes che gli dà un’erba magica, chiamata moly, che deve mischiare alla bevanda che gli offrirà Circe per rimanere immune dai suoi incantesimi. Così fa, ed infatti non si trasforma in maiale; poi, minacciandola di morte, obbliga la maga a ridare forma umana sia ai suoi compagni che agli altri uomini trasformati in belve feroci.
L’erba magica – moly – che salva Ulisse è forse una pianta che esiste davvero anche se non c’è accordo tra i botanici sulla sua identificazione. Alcuni pensano sia l’Atriplex halimus, una siepe tipica delle coste mediterranee, che cresce su terreni sabbiosi, resistente alla salsedine e al vento. Le foglie sono commestibili, dal sapore salato (il nome halimus deriva dal greco alimon/als sale, proprio per l’habitat in riva al mare), e possono essere tritate per insaporire e salare le pietanze; i semi possono essere usati nelle minestre o nell’impasto del pane. Ciò che incuriosisce di questa pianta sono le proprietà curative: la polvere ottenuta dai germogli bruciati si è rivelata utile a combattere l’acidità di stomaco. Altri botanici sostengono invece si tratti di ruta siriaca identificata da Dioscoride sulla base della descrizione che fa Omero: pianta con radice nera e fiori bianchi. In tal caso, però, è una pianta che non si trova facilmente in Italia. Il quesito rimane tuttora irrisolto, e molti studiosi ritengono che il moly sia semplicemente un’invenzione poetica, una pianta immaginaria per indicare l’antidoto al veleno.
Un altro interessante elemento del racconto che alcuni studiosi ritengono sia realmente esistito è la bevanda magica di Circe, la pozione che trasforma gli uomini in bestie. Si tratterebbe del kikeón, che troviamo citata in numerosi testi greci, dai poemi omerici ai testi di medicina. Era la bevanda rituale consumata durante la celebrazione dei misteri eleusini, riti religiosi legati al culto della dea Demetra per propiziare l’agricoltura e la fertilità.
La parola greca kikeón, in italiano ciceone, significa “mistura” “bevanda mescolata” e veniva consumata dagli adepti al termine di un digiuno rituale. Era a base di acqua, farina d’orzo, menta, miele, potremmo definirla una birra d’orzo aromatizzata. Ma c’è dell’altro: i testi antichi lasciano chiaramente intendere che il kikeón fosse una bevanda allucinogena perché dopo averla bevuta le persone presentavano una forte alterazione dello stato mentale. Questa caratteristica era probabilmente dovuta all’azione dell’acido lisergico presente in un parassita fungino dell’orzo chiamato ergot. Si spiegherebbe così il potere magico della bevanda di Circe, che altro non sarebbe che un potente allucinogeno. Da qualche anno, sull’onda del rinnovato interesse per la produzione di birre artigianali, si sono volute sperimentare alcune ricette relative a bevande fermentate dell’antichità, incluso il kikeón.