Musei Vaticani – Torso del Belvedere
Il Torso del Belvedere, la “statua vivente” esposta ai Musei Vaticani è una delle opere da non perdere.
A partire dal Rinascimento, la “statua trunca” è stata ammirata da una lista infinita di viaggiatori che arrivavano a Roma da tutta Europa per il loro Grand Tour, ma soprattutto il Torso è stato studiato, copiato, preso a modello da generazioni di pittori, incisori, scultori, letterati. Michelangelo, Raffaello, Rubens, Bernini, Delacroix, Rodin, Turner, Picasso, solo per citarne alcuni, tanto che si potrebbe addirittura affermare che in un certo senso il Torso sia alla base di tutta l’arte europea.
Michelangelo lo definiva il suo “maestro” e diceva di esserne un devoto discepolo avendolo esaminato e analizzato in ogni minuto dettaglio. Di questo grande studio troviamo riscontro sia in pittura, nelle figure degli “Ignudi” dipinte sulla volta della Cappella Sistina e nei corpi possenti del Giudizio Finale, sia in scultura, nelle celebri statue delle Tombe Medicee a Firenze. La passione, quasi un’ossessione, di Michelangelo per quella statua mutilata, dagli arti spezzati, la testa mancante, la superficie marmorea danneggiata e corrosa dal tempo, era tale che si rifiutò di integrare le parti mancanti, come voleva la cultura estetica del tempo; e nessun altro, a quel punto, oserà farlo dopo di lui.
Arrivato in Vaticano, il Torso rimase a lungo a terra, poggiato sul dorso, nel celebre Cortile delle Statue e proprio lì Michelangelo soleva inginocchiarsi per osservare meglio ” l’opera di un uomo che ha saputo più della natura”.
Talmente universale era lo stupore e l’ammirazione suscitata tra intellettuali ed artisti dal “Tronco”, che lo storico dell’arte Winckelmann li descrisse intenti ad accarezzare e tastare quel corpo mutilo, alla ricerca della perfezione della “statua vivente” di cui non conoscevano neppure il soggetto.
Confiscata da Napoleone, fu portata a Parigi nel 1798 edesposta al Louvre, tornerà in Vaticano solo nel 1815 grazie ad un altro suo grandissimo estimatore, Antonio Canova.
A chi appartiene dunque quel corpo mutilo, chi era quell’uomo raffigurato su una pelle felina? Per secoli sono state avanzate le ipotesi più disparate e solo in tempi più recenti si è giunti finalmente a dare un nome al Torso: raffigura un eroe greco dell’Iliade, Aiace Telamonio, colto nell’atto di meditare il suicidio. Un eroe pensoso, sconfitto, un eroe che ha perso il senno a cui, umiliato e disonorata, resta solo la morte. La statua originale, probabilmente in bronzo e databile al II sec a.C, era talmente famosa ed ammirata anche in antico, che Marco Antonio l’aveva portata in Egitto come regalo per Cleopatra. Era stato poi Augusto a riportarla all’Aiantheion a Troia, non prima però di averne ordinato una copia in marmo da esibire a Roma. La firma su quella copia, scolpita in un blocco di marmo alto quasi tre metri e pesante sette tonnellate, riporta in greco: “Apollonios (figlio) di Nestor ateniese fece“.
Oggi sappiamo quindi molte più cose della statua, conosciamo la sua origine, il soggetto, l’artista che fu autore della copia, ma rimane il grande mistero della vicenda dell’Aiace di marmo, di come sia stato mutilato e si sia poi trasformato nel Torso che tutti ammiriamo.