Terra e Fuoco – I vulcani del Sud Italia
Il paesaggio italiano appare così quieto e dolce, quasi idilliaco; eppure custodisce un’anima passionale e ribollente, ribollente della lava infiammata dei vulcani.
Ve ne sono di ogni varietà: quelli estinti, per esempio sulle isole Pontine, quelli “in sonno”, ma pur sempre in movimento, come Vesuvio, Vulcano e Ischia, e quelli attivi, come Etna e Stromboli.
Sebbene l’Italia sia uno dei paesi al mondo col più alto numero di abitanti esposti a rischio vulcanico, ne ha tratto linfa vitale della sua grande biodiversità. I materiali che vengono dalle viscere della Terra, depositati dopo le eruzioni, sono tra i più fertili in assoluto, facendo si che alle distruzioni delle eruzioni siano sempre seguite grandi rinascite. Il territorio del Vesuvio era chiamato dagli antichi Romani Campania felix, una terra felice perché fertile. Alcune produzioni sono uniche al mondo, come i pistacchi di Bronte che crescono alle pendici dell’Etna e sono soprannominati “l’Oro verde di Sicilia”.
Tra i preziosi regali dei vulcani ci sono anche le pietre e le rocce usati sin dagli albori dell’umanità; l’uomo primitivo realizzò attrezzi ed armi con selce e ossidiana. Gli antichi Romani innalzarono possenti mura ed edifici con il tufo, pavimentarono con il basalto le strade che, come è noto, portano tutte a Roma, mischiarono la pomice col calcestruzzo per rendere lèggerei ed eterna la cupola del Pantheon e non ultimo, trasformarono le ribollenti acque vulcaniche in salutare stile di vita, dedicando parte del loro vivere quotidiano alle terme.
La Campania, zona vulcanica per eccellenza, fu teatro della più celebre delle eruzioni che la storia ci abbia tramandato, quando nel 79 d.C. il Vesuvio distrusse Pompei ed Ercolano; si tratta di uno degli episodi più straordinari dell’archeologia, ossia la miracolosa possibilità di annullare secoli di distanza e di passeggiare in una città dell’Impero Romano che si è preservata quasi intatta sotto la lava: entrare nelle case, scoprire cosa mangiavano, che oggetti possedevano e di quali meravigliose opere d’arte godevano i loro occhi.
Queste possenti e capricciose presenze, terribili ma anche benigne, hanno sempre esercitato una profonda fascinazione sull’uomo, veicolandone la paura, attraverso la straordinaria narrazione del mito: nell’isola di Vulcano, perla dell’arcipelago delle Eolie, gli Antichi credevano che ci fosse la fucina dell’omonima divinità , quel Vulcano forgiatore delle armi degli dei, che ivi lavorava insieme ai Ciclopi; e il fuoco vivo e ardente ben si prestava ad introdurre un appassionato intrigo amoroso in cui l’esuberante e bellissima Afrodite, la Venere romana, data sposa suo malgrado al possente ma brutto e zoppo dio del fuoco, preferì rivolgere il suo ardente desiderio all’assai più prestante Marte, signore e dio della guerra.
Insomma, la soverchiante e violenta, spesso fatale attività dei vulcani, veniva spiegata e resa più accettabile da chi abitava ai loro piedi e intorno alle sue “sciare” e giustificava le debolezze umane che riflettevano quelle divine, rassicurando in qualche modo, l’umanità impaurita.
Oggi, la scienza, si è sostituita al mito e aiuta l’uomo contemporaneo a controllare e perfino a dominare le intemperanze dei vulcani, consentendogli di insediarsi stabilmente nelle loro prossimità con un altissimo grado di sicurezza o di visitarli in tranquillità, fino ad affacciarsi sulle loro bocche antiche e mai del tutto sopite, e di udirne i boati e osservare gli sbuffi di materiale che regolarmente alcuni di essi emettono, da un distanza molto ravvicinata; e tuttavia, un timore reverenziale quasi atavico e un’emozione fortissima, primordiale, di paura ed eccitazione al tempo stesso, non mancheranno di accompagnare gli “ospiti” in visita presso Vulcano o Stromboli o la Montagna. Di questo, poteste star certi.
Testo di Livia, Lisa e Paola