Le Pene del vecchio Michelangelo
Il grande maestro fiorentino visse in un’epoca in cui l’aspettativa di vita di un individuo oscillava in media tra i 35 e i 40 anni; eppure, se si superavano indenni la venuta al mondo e almeno i primi anni di vita, le varie malattie infantili, le pestilenze e i tanti, piccoli incidenti domestici che facilmente si trasformavano in tragedie, se insomma, si poteva contare su un po’ di fortuna, un’alimentazione equilibrata e sufficiente e non si dovevano fare mestieri pericolosi o andare in guerra, poteva anche capitare, come fu per lo straordinario Michelangelo, di giungere alla ragguardevole età di 89 anni, peraltro lavorando con martello e scalpello, fin quasi alla fine dei suoi giorni. Così almeno ci narra il Vasari, celebre biografo aretino e artista a sua volta, che il Buonarroti lo conosceva bene e della cui amicizia e frequentazione sono indubbia prova alcune preziose lettere, oggi all’Archivio Vasari di Arezzo, in cui Michelangelo gli si rivolgeva con l’incipit …”Messer Giorgio amico caro”.
Ad ogni buon conto, l’eccezionalità di Michelangelo ha sempre destato interesse; molti sono stati i tentativi di interpretare e carpire qualche dettaglio in più di quell’uomo unico e speciale, della sua mente e del suo corpo a dir poco formidabili.
È del 2016 un interessante articolo pubblicato sul Journal of the Royal Society of Medicine, a firma di quattro medici italiani e un australiano, i quali, attingendo a varie fonti storiche, non ultimi gli scambi epistolari tra l’artista fiorentino e l’amato nipote Lionardo, tentano di ricostruire una serie di disturbi, acciacchi e vere e proprie patologie che lo afflissero durante la sua lunga vita*: da dolorosi episodi di espulsione di calcoli renali, alla gotta, al tophus arthritis, che alcuni studiosi ritennero di riconoscere in un’escrescenza che deforma il ginocchio destro dell’artista, ritratto nel celebre affresco della Scuola di Atene, dipinto da Raffaello in Vaticano. Come era assai comune tra gli artisti e gli artigiani del tempo che maneggiavano inconsapevolmente sostanze potenzialmente tossiche, anche per Michelangelo si è poi ipotizzato un avvelenamento da piombo, contenuto nelle tempere e nei solventi che dovevano spesso gocciolargli sul viso, mentre a testa in sù dipingeva con ineguagliata maestria la volta della cappella Sistina, e magari, beveva insieme al vino che era stato conservato proprio in contenitori di piombo; potrebbe questo spiegare le frequenti crisi depressive che trapelano dalle sue lettere? E sempre a proposito della Sistina, come non “attribuire” ai mesi di durissimo lavoro in quasi totale solitudine, con luce molto scarsa, i suoi disturbi dell’equilibrio e i capogiri di cui spesso si lamentava? Altri studiosi ipotizzano addirittura una forma lieve di autismo che si sarebbe tradotta in un atteggiamento comportamentale “inusuale” per quel tempo e in una vita sociale estremamente povera.
Fin qui, una breve e molto incompleta sintesi del presunto stato di salute dell’artista più venerato di tutti i tempi, che solo il caparbio rifiuto delle autorita’ della basilica fiorentina di Santa Croce che ne custodisce i resti mortali, a consentire un’indagine con le più moderne tecnologie oggi a disposizione, impedisce di svelare pienamente.
In attesa che la scienza possa finalmente un giorno scoperchiare l’illustre lastra tombale, i quattro studiosi propongono allora un’affascinate ipotesi puntando l’attenzione sulle mani del maestro, ritratto in due opere intorno ai 60 anni di età e in un dipinto post-mortem. Un’analisi comparativa dei vari ritratti delle dita della mano sinistra, priva di segni di infiammazione (e l’insistenza sul ritrarre Michelangelo quasi sempre con la sinistra in vista, confermerebbe il suo essere mancino, circostanza questa che a quel tempo, era meglio tenere riservata), rivelerebbe una grave artrite degenerativa, un’ osteoartrite, e non la gotta di cui egli stesso credeva di soffrire, che spiegherebbe l’apparente contraddizione per cui Michelangelo riuscisse ancora a scolpire a 70 e 80 anni di età, ma non fosse più in grado di compiere azioni quotidiane molto semplici, per esempio scrivere, specialmente al termine della sua intensa esistenza, quando ormai poteva giusto vergare la sua firma nelle lettere che qualcun altro scriveva per lui.
L’aspetto forse più curioso di questa vicenda è che con tutta probabilità, l’instancabile, e potremmo dire ossessiva pratica della scultura, così centrale nella vita di Michelangelo (che fu invece pittore riluttante), potrebbe aver esercitato un ruolo persino terapeutico sulla sua dolorosa osteoartrite: il rimedio migliore infatti, per conservare la funzionalità degli arti malati, è proprio quello di continuare ad usarli più lungo possibile nonostante il forte dolore che doveva provare.
*Osteoarthritis in the hands of Michelangelo Buonarroti, D. Lazzeri, M.F.Castello, M.Matucci-Cerinic, D. Lippi, G.M. Weisz
https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/0141076816630502
Paola Barbetti-Bohm