LE 3 T INSEPARABILI: TRIFULAU, TRABUJ E TARTUFI
Il tartufo è un fungo spontaneo ipogeo della famiglia delle Tuberacee, la cui raccolta si vale di saperi antichi, di un patrimonio orale e di tradizioni legate alla cultura gastronomica, antropologica e letteraria. La ricerca del tartufo si apre a ventaglio tra indizi, memoria, luoghi, ritmo delle stagioni, lune, e tutti gli elementi del ciclo produttivo della terra e del mondo contadino, sia esperienziale che rituale. Fu definito “diamante della cucina” dal politico gastronomo Brillant -Savarin, Gramsci lo vedeva invece come cibo divisivo, pensando alla fava nella cucina povera, e al tartufo in quella ricca, mentre Tolstoj lo inserì “…tra i cibi che non solo danno piacere, ma fanno parte di una sana alimentazione per i ricchi dell’Ottocento”. Il tartufo dunque, si colloca nell’immaginario collettivo come cibo per pochi fortunati.
Il prezioso fungo è figlio del freddo, “la cerca” e la cucina sono scanditi dalle giornate più corte e le notti più lunghe dell’anno. Plinio, nel I secolo dopo Cristo, citava tuoni e fulmini quali generatori di tartufi, formatisi durante i temporali autunnali, e che Giovenale invocava per favorirne qualità e quantità, tesi riconfermata da Leopardi nell’Ottocento quando ne ricostruisce l’origine “…credevasi crescere e perfezionarsi col mezzo dei
tuoni, onde una stagione tempestosa riputavasi feconda di buoni tartuffi.”
Il tartufo non si comporta come gli altri prodotti della terra, è nascosto all’occhio dell’uomo che necessita del fine fiuto del cane per localizzarlo, non a caso il naso del cane porta lo stesso
nome. La sua cerca racchiude il mistero della sua riproduzione, prediligendo le radici di pochi alberi, quali pioppi, noccioli, salici e tigli, ma soprattutto la quercia, ritenuta presso i Celti, l’axis mundi ed albero sacro per eccellenza presso i Romani. La figura enigmatica e solitaria del “Trifulau”, il cercatore di tartufi, ha come unica compagnia quella del suo cane, il “trabuj”, e insieme percorrono gli spazi inselvatichiti e interdetti dall’isolamento invernale, che la pioggia e la neve rendono impraticabili. Entrambi si integrano perfettamente con la natura, adeguandosi ai silenzi e capace di leggere e interpretare segnali, bussando la terra col bastone, osservando la neve sciolta dai vapori umidi e cercando le mosche attratte dall’odore, o le crepe a forma di croce che indicano la pressione del tartufo.
Trifolau e trabuj sfidano, nelle gelide notti, luoghi e tempi interdetti dalle Masche, le streghe crudeli, dispettose e vendicative che nel folclore delle Langhe e del Roero erano dotate del potere della metamorfosi e scatenavano forze negative su chi si avventurava, tra il tramonto e l’alba, nei lori spazi non protetti, del tempo notturno.
La stretta simbiosi tra uomo e cane è il fulcro della ricerca, i trifolau addestrano personalmente i loro cani, generalmente in dialetto, in una dimensione intima e profonda, entrambi latori dei gesti e del sapere tradizionale, che ancora sopravvive, benché con le nuove generazioni tenda ad volgersi verso strumenti e linguaggi estranei alla tradizione e utilizzo di cani addestrati in centri specializzati.
Il frutto della loro ricerca, il tartufo bianco, ha forme e dimensioni diverse, sentori che spaziano dal fungo, aglio, miele e spezie e richiama migliaia di visitatori ad Alba, tra ottobre e dicembre, per la Fiera Internazionale del Tartufo, luogo del mercato mondiale, della degustazione e del folclore del territorio. La manifestazione fu creata ad Alba nel 1930 da Giacomo Morra, un albergatore, genio del marketing, che rese il tartufo bianco di Alba, famoso in tutto il mondo regalando ogni anno, in occasione della Fiera, il tartufo più grosso ai personaggi più famosi ed in vista del tempo, ricevuto da Churchill, Hitchock, Marilyn Monroe, Joe di Maggio, Harry Truman, una strategia astuta già utilizzata nell’800 da Camillo Benso Conte di Cavour, che del tartufo ne aveva fatto un mezzo diplomatico.
Bianchi o neri, sono stati da sempre considerati cibo pregevole, ritenuti “un miracolo” da Plinio, in quanto crescevano senza essere seminati, e hanno arricchito tavole reali o di buongustai di tutti i tempi. La difficoltà ed imprevedibilità della ricerca, il loro sapore e profumo fanno oscillare le quotazioni, che possono arrivare sino a 4000 € al kilo. Argomento oceanico quello del tartufo, si potrebbe parlare ancora di quelle che sono ritenute le sue proprietà afrodisiache, del suo uso nobilitante nella gastronomia, delle storie legate al territorio e a suo consumo, della sua vendita e delle tante varietà esistenti, ma forse è sufficiente ricordare la frase pronunciata da Alexandre Dumas, per sottolinearne il carattere: ” I golosi di tutte le epoche non hanno mai pronunciato il nome del tartufo senza portare la mano al cappello “.
Testo e foto di Lisa