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ENOGASTRONOMIA – A TAVOLA CON LA BIONDA PIEMONTESE, NAPOLEONE E CAVOUR

La Bionda Piemontese, impettita e dal portamento altero e la Bianca di Saluzzo, più rustica, ma dal profilo elegante, hanno conquistato due grandi dell’Ottocento, Napoleone e Cavour, che ne reclamavano le appetitose e stuzzicanti carni alla loro tavola.

Non compiacenti signorine, ma galline, la bionda e la bianca erano le due razze tradizionali allevate in Piemonte, i tipici polli da cascina, che gli allevatori preferivano per la loro robustezza e resistenza alle malattie e al clima del Nord ed erano apprezzate per le carni pregiate. Utilizzate per il consumo familiare o vendute nei mercati locali e nelle fiere che richiamavano commercianti da ogni parte d’Italia, rappresentarono, fino agli anni Sessanta un piccolo capitale familiare, una dote, che nella tradizione contadina, la madre dava alla figlia che si sposava per creare un nuovo pollaio, il “pulaie” che alimentava il nucleo familiare e permetteva con il ricavato della loro vendita di acquistare ciò che non si poteva produrre in cascina: sale, zucchero, caffè…

Nel 1929 la creazione del Pollaio Provinciale Fascista che puntava all’autosufficienza alimentare italiana Grande diede un forte impulso alla pollicultura piemontese, minacciata poi negli anni Sessanta dall’allevamento industriale e dall’agricoltura intensiva, ma recuperata alla fine degli anni ’90 con allevamento a terra effettuato esclusivamente all’aperto. L’area della bionda copre quasi tutto il Piemonte, mentre la bianca è allevata nell’area ristretta che corrisponde all’antico Marchesato di Saluzzo, conteso in passato tra Francia e Savoia e la zona di Cavour da cui il nome, Bianca di Saluzzo o di Cavour. Entrambe sono ricercate ed apprezzate dagli chef internazionali per il sapore inconfondibile ed il basso colesterolo delle sue carni, e la produzione nel periodo primaverile ed estivo è di oltre 200 uova.

Le uova sono importantissime nella tradizione culinaria piemontese arricchita dalle svariate frittate proposte dalle tante contrade: a base di erbe spontanee o coltivate, come i germogli di luppolo “lovertin”, il tarassaco, le ortiche, le foglie di salvia o la tipica“frità rugnusa” con salame e/o salsiccia. La Bionda e la Bianca sono presenti in tante ricette della tradizione, in cui i polli venivano destinati alle classi nobiliari, mentre le frattaglie rimanevano ai contadini o diventavano il tributo pagato sottobanco ai doganieri per entrare in città, da cui il nome del piatto medievale “la finanziera”. Nel corso degli anni abbandonò le tavole dei contadini per diventare piatto elitario simbolo del prestigioso ristorante “Del Cambio” di Torino.

Il piatto veniva preparato in tarda primavera, quando le creste ed i bargigli dei polli castrati per diventare capponi, insieme ad alcuni scarti della macellazione bovina venivano amalgamati dalle mani esperte dei cuochi con marsala o barolo, burro, aceto, funghi, e trasformati in un piatto destinato ai tavoli in cui sedevano, tra velluti e specchi dorati, i banchieri e i rappresentanti dell’alta finanza riconoscibili dalla lunga giacca , lo “stiffelius” o “finanziera”, tra cui il ministro delle Finanze Cavour, che ne era ghiotto.

Nelle osterie di Langa, nel cuneese e nel Roero si gustano i piatti poveri diventati poi piatti da signori, come l’insalata di gallina bionda servita nelle feste o altre tipicità come il pollo alla cacciatora la cui salsa è usata per condire la polenta o il tonno di gallina. Il biondo pennuto entra nella leggenda con Napoleone, con uno dei piatti più famosi della tradizione italiana: “Il pollo alla Marengo” che celebra la vittoria in extremis contro gli Austriaci a Marengo, in Piemonte, che fu decisiva per il ripristino del predominio francese nell’Italia Settentrionale.

Il Primo Console Bonaparte, commensale distratto e sbrigativo, saltava i pasti, o al massimo dedicava un quarto d’ora al cibo, arrivando spesso in ritardo ed imponendo ritmi vertiginosi ai convitati, fu conquistato da quel piatto improvvisato dal suo cuoco Dunand, con la misera razzia nelle fattorie della zona, un pollo tagliato a pezzi con la sua sciabola, qualche gambero di fiume, uova, olio, aglio e pomodori, conditi, in mancanza di sale, con salnitro e polvere da sparo, e cognac, preso direttamente dalla fiaschetta di Napoleone.

Fu così festeggiata quella importante e tanto sofferta vittoria con prodotti locali, dato che le vettovaglie viaggiavano separate e il cuoco non ne poteva disporre ed il futuro e scaramantico futuro imperatore lo richiese sempre alla fine ogni battaglia.

 

Testo e foto di Lisa

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