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Un Teatro viola

Era il teatro del Re, commissionato dallo scaltro duca Vittorio Amedeo, all’architetto Juvarra, che la “volpe sabauda” portò a Torino nel 1713 insieme alla corona regia. Fu però l’architetto Alfieri a conferire all’edificio il tipico aspetto delle architetture torinesi, una contenuta ritrosia, che ben rispecchia il carattere dei residenti, e si replica in austere facciate di sobri mattoni, dietro le quali, trionfava il lusso introdotto dalle principesse francesi andate in sposa ai regnanti di vocazione di spada della casata sabauda. Dal 1740 il Regio Teatro, fu punto di riferimento e prestigio internazionale e dell’aristocrazia del Nord, finchè, in una fredda notte di febbraio del 1936, i velluti rossi e i legni intarsiati e dorati, furono avvolti dalle fiamme, che risparmiarono solo la lunga e severa linea di mattoni rossi della facciata. Solo nel 1965, dopo la lunga attesa della ricostruzione postbellica di tutto il Paese, la carcassa architettonica, un residuo totalmente scollegato col presente, venne affidata al visionario architetto Carlo Mollino, che del vecchio teatro mantenne solo il fronte di laterizio sopravvissuto al rogo, monumento di storica memoria raccordato con l’architettura della piazza, in cui l’unico prospetto che si deve notare, è quello del palazzo reale, seguendo un protocollo di corte anche negli stilemi architettonici. Mollino rappresenta le temperie degli anni Settanta, il vento di cambiamento, e, spiazzando le aspettative della buona borghesia, al posto dell’atteso teatro all’italiana, scrigno di consuetudini secolari di eleganza, creò un edificio audace, totalmente svincolo dalla tradizione. Del passato, oltre la facciata alfieriana, mantenne la linea curva del barocco, lo stile della Regia Casa, adottata ovunque, dalla struttura, ai dettagli d’arredamento. Introdusse un sistema aereo con scale mobili e cemento, vetro e acciaio, spazi aperti come il comodo ed arioso foyer, e l’incredibile conchiglia della platea, con una singola corona di palchi. I 1592 spettatori vengono accomodati in uno spazio unitario, un grande uovo, acusticamente perfetto, senza gerarchie sociali, sotto una cascata di luce riflessa da 1900 steli di perspex che riverberano la luce di 1762 punti luce. La provocazione di Mollino si spinse oltre, sfidando la superstizione ed utilizzando il colore viola, escluso e proibito da tutti i teatri, quale memento medievale della fame patita dagli artisti durante il periodo Quaresimale, in cui i prelati ammantati nei paramenti liturgici che evocavano la Passione, vietavano le rappresentazioni e qualsiasi forma di spettacolo nei 40 giorni che precedevano la Pasqua.
Il teatro fu inaugurato il 10 aprile del 1973, Mollino morì quattro mesi dopo. Architetto e puttaniere, dandy eclettico e genio solitario, fu criticato, prima, per la sua scelta audace, anticonformista, visionaria e moderna, ed osannato, dopo, dai cultori dell’avanguardia artistica internazionale, come profeta.
Il teatro di Mollino è una macchina perfetta, dove enormi macchinari scenici, laboratori, sale, occupano una superficie sotterranea che è pari ad una volta e mezzo la superficie di piazza Castello su cui sorge. E’ aperto a produzioni liriche e musical, ballo e concerti ed ad un pubblico diversificato, accoglie i giovani e gli studenti, abbattendo barriere di genere e ceto. Il teatro di Mollino stupisce e disorienta, poi accoglie e seduce. Sedersi nell’abbraccio della conchiglia sotto la cascata di luce, di fronte al palco viola, è un’esperienza intensa, a volte commovente. Mollino aveva ragione.

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